Ognuno di noi è posto di fronte alla necessità, prima o poi, di capire la differenza tra la voce della coscienza e l’intuito. Una constatazione di comune esperienza serve già ad illuminare la questione: ad uno sguardo retrospettivo non sempre la “voce interiore” ci suggerisce la cosa migliore da fare; spesso le nostre azioni sono determinate da un impulso a giudicare o ad agire che, esattamente come l’intuito, nella sua immediatezza si presenta alla nostra consapevolezza non si sa bene provenendo da dove: pensiamo ad esempio all’istinto di sopravvivenza, alla percezione anticipata di un pericolo oppure ad un improvviso moto di sdegno di fronte ad una notizia o ad un fatto che sentiamo mettere a rischio qualcosa di importante nella nostra vita o sovvertire completamente la nostra visione del mondo. Ad azione compiuta tuttavia, è proprio la voce della coscienza che si fa sentire, provenendo anch’essa da una dimensione insondabile ma non per questo meno netta e chiara, a ricordarci che non sempre ciò che ci arriva all’improvviso è realmente costruttivo e fonte di saggezza. Oppure pensiamo alle intuizioni matematiche, all’invenzione della stampa, del telefono o della lampadina. In definitiva, una semplice osservazione empirica ci dimostrerà che in tutti questi casi l’informazione essenziale intorno alla realtà che stiamo vivendo e affrontando non proviene dal ragionamento personale, ma come un lampo si presenta da oltre il confine del nostro intelletto e della nostra autocoscienza. E se questi “illuminazioni” sono in grado così facilmente di metterci in contraddizione con noi stessi, è verosimile e anzi probabile che sia tutt'altro che facile per una persona – nell’ambito dell’intuizione - individuare ed allenare le autentiche facoltà progressive per migliorare la qualità della propria vita. In altri termini, non tutto ciò che entra nella nostra coscienza provenendo da oltre i suoi confini è per ciò stesso positivo o saggio. Come, dunque, orientarci su questo problema e da dove partire per capire come distinguere e favorire le intuizioni positive da quelle negative?
ETIMOLOGIA DELLA PAROLA INTUITO
La profonda saggezza racchiusa dal genio del linguaggio dell’antica lingua latina è fondamentale per entrare nei segreti del fenomeno e del concetto che lo esprime. Intùito dal latino intuitus: in (dentro) e tuit (guardare) in cui l’elemento chiave è dato dalla sequenza di suoni t-ui-t che scandiscono la ricca esperienza interiore che accompagna l’atto del guardare: attraverso i suoi vocalici ui è indicato il contatto con le profondità inconsce del processo della vista a cominciare dal processo fisiologico per cui l’immagine che si forma nella coscienza è frutto di una riflessione o elaborazione degli stimoli luminosi che avviene già all’interno dell’occhio, dove gli apparati fisiologici dei coni e bastoncelli sono sostanzialmente neuroni modificati; mentre l’impatto con la realtà esterna materiale, i raggi luminosi riflessi dagli oggetti, viene espresso dal suono consonantico t. In particolare, la doppia t indica la ciclica continuità del processo del vedere che in quanto tale sfugge al controllo della volontà. Mentre il prefisso i(n) esprime la circostanza che l’atto del guardare non è rivolto agli oggetti esterni ma all’interno della psiche di colui che osserva. L’intuizione è quindi frutto di uno sguardo inconscio rivolto ad una parte della realtà dell’Io anch’essa inconscia. In sintesi: c’è una parte di me che non conosco che si attiva per scoprire aspetti della realtà che tramite la mia consapevolezza ordinaria non posso raggiungere, per farli affiorare alla mia coscienza.
L’INTUITO FALSAMENTE POSITIVO
Se nel significato comune della parola intuito indica generalmente contenuti positivi e saggi, ciò è dovuto alla precisa circostanza che l’evoluzione dell’individuo, contrariamente al pregiudizio evoluzionistico darwiniano il cui successo è dovuto anche evidentemente alla semplificazione di processi in realtà ben più complessi e quindi tali da richiedere un grande sforzo conoscitivo, procede lungo stadi di progressiva perdita di quell’ispirazione superiore che caratterizzava la coscienza elementare (ma non primitiva) dell’uomo antico; ispirazione che in una fase intermedia era riservata e coltivata soltanto da pochi eletti adeguatamente preparati come ad esempio i re-sacerdoti: pensiamo a Zarathustra, ai faraoni egizi o a Mosé, o i fondatori di religioni come Buddha o Maometto; ispirazione che guidava in maniera sicura come una forza di natura la vita umana individuale e sociale. Questo è il motivo per cui ai giorni nostri, in cui l’umanità civile si caratterizza per la sostanziale assenza di un'ispirazione superiore, e quindi da quell’indipendenza e possibilità di sbagliare che lo sviluppo libero e autonomo del sé individuale porta necessariamente con sé, tutto ciò che da una misteriosa sfera superiore fa capolino nell’esperienza materiale comune viene ingenuamente e fatalmente preso di per sé stesso come qualcosa di buono e di positivo.
Né è possibile, in un primo momento, discernere il valore di ciò che affiora apparentemente dal “nulla”, l’intuizione nel senso comune appunto, adottando il criterio per cui sarebbe genuino e affidabile tutto ciò che appare in linea con chi noi siamo. Sia perché un criterio così semplicistico non consente, ad esempio, ad un individuo che fin da piccolo ha imparato e preso per buona la malvagità di potersi correggere e migliorare. Sia soprattutto perché come accennato ad un esame onesto e spregiudicato l’uomo appare a sé stesso un essere contraddittorio ed enigmatico, per cui scovare “conferme” che lo rassicurano di non aver bisogno di cambiare in meglio è sicuramente un grande auto-inganno a cui difficilmente l’amor proprio riesce a sottrarsi. I moralisti francesi del ‘600 hanno molto indagato questo aspetto della psicologia dell’uomo moderno. L’individuo può certamente cedere alla tentazione di allenare delle facoltà superiori, ma dovrà poi necessariamente pagare un prezzo commisurato alla mancanza di consapevolezza circa origine e natura di queste facoltà che il suo egoismo ha intravisto come semplici mezzi per soddisfare una sottile e spesso insospettata volontà di potenza.
Il significato ulteriore, tutelare o salvaguardare, che la parola latina intuito ha acquisito nel tempo è perciò da leggere come il coerente sviluppo in ambito sociale della facoltà di saper guidare e proteggere, sviluppata da chi ha la capacità di leggere il significato di ciò che si vede esteriormente, rispetto a chi invece vede ma ancora non sa leggere ciò che vede. La psicologia del ‘900 ha appurato anche in via sperimental-induttiva che questa “lettura” viene appunto effettuata a livello inconscio, come già accennato. Per questo motivo non è quindi proprio esatto paragonare l’intuito, beninteso naturalmente quello positivo, ad una sorta di magazzino o archivio interiore di innumerevoli informazioni collocate da qualche parte nella scatola cranica; né tantomeno come un meccanismo di sopravvivenza (istinto di sopravvivenza) che non potrà mai fallire quando in gioco c’è la nostra stessa incolumità. Infatti l’intuito si ricollega ad una capacità complessa, una vera e propria facoltà, impossibile da ricostruire e spiegare in termini meccanicistici e riduzionisti come le ingenue idee dei cassetti della memoria o del riflesso nervoso condizionato. E’ così che a causa di forzature nel voler a tutti i costi formulare giudizi in assenza di un’adeguata capacità di osservazione e discernimento e di svolgere un pensiero ordinato, spesso capita di ricevere suggerimenti a buon mercato del tipo: se hai bisogno di trovare risposte immediate e adeguate alle diverse situazioni, la cosa più saggia da fare è proprio interrogare l’intuito, immaginare di dialogare con questa parte, di personificarla, può renderlo una semplice pratica quotidiana. Si ricorre cioè a delle tecniche di suggestione per favorire dei fenomeni psichici quali i dialoghi con enti mentali, senza però considerare che fenomeni analoghi vengono ordinariamente considerati sintomi di schizofrenia, in chi ad esempio riferisce di sentire voci che gli parlano o di dialogare con intelligenze invisibili; per non parlare di chi seguendo la “voce interiore” è arrivato persino a commettere degli improvvisi omicidi.
COME DISTINGUERE L’INTUITO POSITIVO DA QUELLO NEGATIVO
Anche se non è un traguardo che possa essere raggiunto in pochi passaggi e troppo agevolmente, è certo che qualsiasi persona sana può arrivare in un tempo relativamente breve ad avere la capacità di distinguere l’intuito positivo da quello regressivo o negativo. Qui naturalmente possono essere dati soltanto accenni iniziali. Il primo passo è senz’altro quello di porsi l’obiettivo di raggiungere regolarmente uno stato di equilibrio e di calma tale da poter allontanare o compensare tutti i fattori di disturbo che tipicamente caratterizzano la vita moderna: fretta, inquietudine, irregolarità nei rimi giornalieri, disturbi o frammentazione del corso dei pensieri, esposizione al brutto e al malvagio, nervosismo. Come una luce ha bisogno di trasparenza per attraversare una zona oscura, così l’intuito positivo o progressivo è favorito da uno stato di vigile equilibrio della personalità cosciente attivamente mantenuto, che come un “cristallo immobile” consente alla “ispirazione” superiore di riflettersi nella coscienza. A riguardo basta considerare che ci si può rendere conto di un movimento soltanto se siamo fermi rispetto ad esso: ad esempio quando ci sembra fermo un treno in corsa osservato dal finestrino di un'automobile in cui stiamo viaggiando nella stessa direzione.
Equilibrio e calma si rafforzano imprimendo regolarmente alla propria vita psichica la direzione che già la Natura ha stabilito, ma portando avanti la sua attività in maniera cosciente e volontaria. Ogni giorno, di prima mattina dopo essere completamente svegli, riposati e rilassati, organizzarsi in modo da non essere disturbati per due o tre minuti al massimo nei quali dedicarsi ad una sistematica attività di riflessione attiva. Iniziare scegliendo un semplice oggetto di osservazione, ad esempio un cucchiaio, un anello, una chiave etc.; osservare con attenzione l’oggetto per farsene un’esatta rappresentazione in tutti i particolari. Poi allontanato l’oggetto dalla vista, anche ad occhi chiusi rappresentarselo manipolando l’immagine con la propria volontà in modo da vederlo tale e quale davanti allo sguardo interiore. Quindi riflettere a tutto ciò che può essere in maniera ragionevole e logica pensato di questo oggetto: dove lo si trova e come ci è arrivato, comi si usa, di che materiale è fatto, attraverso quali passaggi è stato concretamente realizzato, quali sono le possibili varianti dell’oggetto, a cosa serve e così via.
Dopo qualche tempo, più o meno lungo a seconda delle caratteristiche e delle condizioni personali, e naturalmente della regolarità con cui l’esercizio viene svolto, dopo i due o tre minuti di durata massima dell’esercizio si comincerà a sentire una lieve sensazione nell’area della testa, vagamente descrivibile come elasticità mentale, maggiore agilità nel pensare o addirittura come percezione di un nucleo attivo o corrente di forza pensante.
Durante il giorno si comincerà a notare con soddisfazione e sorpresa di riuscire a capire i fatti e il mondo in maniera più rapida, ampia e profonda di quanto non si riuscisse prima, e che effettivamente si è riusciti a favorire l’intuizione progressiva.
L’esercizio può essere fatto anche in altri momenti della giornata, ma possibilmente la mattina quando le forze sono più fresche e sempre alla stessa ora perché il ritmo è un fattore che moltiplica la forza. Junio Palenca
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