Siamo realmente liberi? Da quali fattori scaturisce il nostro destino? Come infrangere la prigione invisibile che ci mette in contraddizione con la nostra vita? Alla scoperta dell’Intelletto Attivo, il percorso innovativo che ci consente di raggiungere il nostro futuro.
Ad un attento osservatore non sfuggono le sottili differenze che caratterizzano la vita di chi vive in città rispetto a chi conduce la sua esistenza in zone di campagna a contatto con la natura. L’uomo è più permeabile alle influenze del suo ambiente di quanto possa sembrare ad uno sguardo superficiale: ma non nella direzione rozzamente meccanicista e astratta della cosiddetta “lotta per l’esistenza”, quanto per l’influsso sottile che la natura viva esercita sulle sensazioni e sui pensieri. Questa semplice constatazione consente di notare come l’unione nella coscienza individuale dell’enigma fondamentale sull’origine dell’uomo da una parte con la facoltà dell’intelletto personale dall’altra – in grado di produrre il moto spontaneo della ricerca del perché dell’esistenza - riceva una sfumatura diversa a seconda del luogo e del tempo in cui il destino, o se si preferisce la casualità, ha collocato la persona nella vita. Chi è stato troppo a lungo nella società civile della città sentirà il desiderio di rifugiarsi nell’amena quiete di prati, boschi e aria pura in cui attenuare il nervosismo parossistico che colpisce inevitabilmente chi passa da uno stimolo all’altro. Chi al contrario vive in campagna cercherà nelle attrazioni metropolitane quegli stimoli di esperienze, di cultura e di scambi umani che gli possano assicurare quell’eccitamento di cui sente il bisogno per sentirsi vivo, nel vano tentativo di riempiere un nocciolo di vuoto interiore che nemmeno la contemplazione della natura riesce fino in fondo a colmare.
D’altra parte, l’istruzione e la cultura generalmente richieste dalla vita civile e dalle professioni che caratterizzano l’economia avanzata della città non fanno che acuire il senso di frustrazione e di alienazione, perché nella loro astrattezza non si prestano ad appagare l’esigenza primaria di ricerca della felicità; d’altra parte, lo sviluppo dell’intelletto che l’istruzione superiore porta con sé rende le rappresentazioni dell’individuo più astratte e fredde, quasi una fotografia in bianco e nero della realtà, e quindi spesso favorisce cinismo, indifferenza per il prossimo e solitudine. All’opposto, chi vive nelle campagne e ha studiato poco conserva un maggiore equilibrio fondamentale delle forze dell’anima tale da preservare la spontanea partecipazione alle vicende altrui, la cosiddetta empatia, ma spesso a scapito dello sviluppo dell’intelligenza e dell’autonomia di giudizio, quindi in definitiva della libertà.
Generalmente ogni individuo, se non è destinato, per mancanza di opportunità, a trascorrere la sua esistenza nell’ambito di uno soltanto di questi estremi, nondimeno dovrà oscillare da un polo all’altro. Così i mezzi economici accumulati dalla generazione vissuta in campagna o in aree meno sviluppate verranno impiegati per far studiare la nuova generazione che si cercherà di far vivere in città, permettendo ai figli di perseguire quello specifico sogno di felicità che sarà stato precluso ai genitori. Viceversa, i mezzi economici più facilmente accumulati nell’ambito della città consentiranno al cittadino ricco di trascorrere regolarmente del tempo in campagna immerso nella natura o addirittura di trasferirsi del tutto per non soccombere alle conseguenze negative di medio e lungo termine dovuto allo sforzo fatto per accumulare quel denaro.
Paragonabile ad entrambe queste “fughe” messe insieme, quella dalla campagna verso la città e viceversa, è il famoso viaggio all’estero quale tappa dell’integrale percorso di formazione della persona caratteristico delle classi agiate fin dal XVII secolo. Esso dava infatti da un lato l’opportunità di conoscere nuovi paesi, costumi e culture contemplando e riposando in ciò che la natura aveva complessivamente realizzato presso altri popoli, ma al tempo stesso anche la possibilità di conoscere realtà più avanzate ed evolute oppure, come nel caso del classico viaggio in Italia di epoca romantica, di entrare in contatto con la grandezza insuperata della civiltà classica.
E’ dunque da simili considerazioni - in grado di favorire un’osservazione di sé dall’esterno, maggiormente obiettiva, riflettendo sul contesto e sui fattori che determinano e orientano la propria capacità di avere una visione globale di sé stessi nel mondo - che risulta efficace partire per risvegliare la propria spesso sopita curiosità per il mistero dell’esistenza. Non tradire sé stessi rimanendo fedeli alle proprie istanze più profonde richiede pertanto uno sforzo attivo, una psiche attiva, superando l’abitudine o la pigrizia mentale che spinge spesso a ricercare comodamente in libri e riviste punti di vista già pronti, opinioni preconfezionate da far proprie e adottare per appagare il bisogno insopprimibile di trovare una risposta a simili quesiti.
Non è infatti la risposta in sé, l’incastro logico tra rappresentazioni, che può realmente appagare quel senso di sotterranea inquietudine se non in maniera apparente e temporanea, quanto lo sforzo reale compiuto personalmente per farsi strada verso la verità o la realtà, assecondando sistematicamente l’esempio della Natura. Se grazie all’oscillazione regolare tra civiltà e natura che una provvidente direzione del mondo cerca di assicurare alle vite individuali si sarà riusciti, anche inconsapevolmente, ad affinare la propria sensibilità, si potrà prendere in mano sistematicamente il proprio progresso sviluppando l’intelletto come un mezzo e non come un fine, da forgiare secondo i movimenti che la natura ha trasferito nella sua più grande opera d’arte ancora incompiuta: l’essere umano.
Sciogliere le intime contraddizioni che imprigionano l’esistenza dell’uomo moderno o contemporaneo, che sente più o meno ottusamente dentro di sé un desiderio di infinito o una volontà di potenza che è in totale contraddizione con i suoi reali limiti, è senz’altro possibile a partire da una obiettiva e sincera ammissione del fatto che la straordinaria bellezza e complessità della vita merita un serio coraggioso sforzo per essere pian piano disvelata. Per intelletto attivo noi intendiamo un simile sforzo compiuto con equilibrata ed obiettiva onestà intellettuale, nella consapevolezza che tutto ciò che ci circonda dentro e fuori di noi misteriosamente ci riguarda molto più di quanto siamo disposti ad ammettere con noi stessi, per la mancanza di un coraggio che in realtà è a portata di mano. Junio Palenca
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